ARTICOLO 003 – I benefici della musica nella prima infanzia (Anna Cattoretti, 2018)

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I benefici della musica nella prima infanzia

Introduzione

Abbiamo tutti ben presenti le caratteristiche della musica come forma di comunicazione intersoggettiva ed emozionale e come forma d’arte, come patrimonio di tradizione e di cultura, come mezzo aggregante e come veicolo per esprimere la propria espressività.

A livello intuitivo conosciamo i benefici della musica come attività che convoglia le nostre energie positive e negative, fin dalla nascita, e le ricompone, svolgendo di volta in volta le funzioni di calmare, consolare, energizzare, incitare, liberare, aggregare, commuovere ed evocare.

Conosciamo meno i benefici della musica a livello di stimolazione delle capacità intellettive e nell’ambito dello sviluppo dell’individuo e del suo mantenimento in età adulta e anziana, ovvero per una vita migliore e più sana dal punto di vista psicofisico, ma anche più profonda e più creativa.

Non abbiamo ancora o abbiamo perso la fiducia nel potere della musica come motore di sviluppo sociale ed economico, oltre che culturale, e come mezzo per conciliare differenze sociali e risolvere situazioni altamente problematiche e conflittuali, fortunatamente smentiti, negli ultimi anni, da due importanti fenomeni:
– lo sviluppo di El Sistema di José Antonio Abreu in Venezuela per il riscatto di numerosissimi giovani attraverso la costituzione di cori e orchestre e di iniziative rivolte anche a persone con deficit psicofisico (Coro de Las manos blancas) ed esportato oramai in tutto il mondo (a cominciare dall’Italia, grazie alla collaborazione tra Abreu e Claudio Abbado)

– il progetto della West-Eastern Divan Orchestra fondata nel 1999 dal direttore d’orchestra Daniel Barenboim e dallo scrittore e intellettuale Edward W Said al fine di favorire il dialogo fra musicisti provenienti da paesi e culture storicamente nemiche (arabi e israeliani).

L’importanza di un buon inizio.
Sviluppo del cervello ed esperienze precoci.

La prima infanzia, come momento formativo estremamente importante per tutto il corso dello sviluppo successivo e per il comportamento adulto, è stato considerato negli ultimi anni oggetto di attenzione non solo dal punto di vista psicologico, ma più specificamente neurobiologico e scientifico. Le neuroscienze dello sviluppo vedono attualmente numerosi attori (medici, psicologi, biologi, etc.) impegnati in ricerche diversificate e tra queste la musica in particolare occupa un posto di rilievo.

Se in passato le ricerche si sono concentrate sulle caratteristiche biologiche del cervello e sugli aspetti genetici, recentemente si orientano anche sul modo in cui vengono alimentati i processi di sviluppo, grazie all’ambiente e agli stimoli (o meglio: opportunità) cui è esposto l’individuo. In particolare, si è visto come l’esperienza fatta nel primo anno di vita modelli la plasticità del cervello in vista di un buon sviluppo futuro e come invece una deprivazione sofferta nel primo periodo della vita determini purtroppo forti e durevoli effetti nel cervello (Adrienne L. Tierney and Charles A. Nelson, 2009).

Le pratiche di accudimento da parte di genitori, educatori e operatori della prima infanzia nei confronti dei bambini sono perciò altamente considerate e, tra queste, la musica e la lettura sono quelle che si possono proporre fin dalla prima infanzia.

Gli studiosi hanno individuato nei primi mille giorni di vita del bambino un periodo particolarmente importante per il suo sviluppo psicofisico e neurologico. Le prime sinapsi cerebrali compaiono attorno alla 23esima settimana di gestazione (Molliver, Kostovic, & Van der Loos, 1973) e il loro picco di produzione si ha nel primo anno di vita, in momenti diversi a seconda delle aree della corteccia preposte alle varie funzioni: vista, udita, linguaggio, movimento, etc.. A questa sinaptogenesi segue (negli anni successivi e sempre in momenti diversi) una riduzione o ‘potatura’ (pruning), determinata dalla programmazione innata nel bambino affinché possa meglio adattarsi all’ambiente in cui si trova. È in questo momento che l’esperienza vissuta entra in gioco, poiché le funzioni attivate si fortificano, mentre vengono ridotte le sinapsi meno utilizzate. La rete di neuroni coinvolta nello sviluppo si accorda e si adatta in modo raffinato alle necessità e l’ambiente fisico, biologico, sociale e culturale in cui si trova a vivere il bambino e determina l’architettura del suo cervello, con un impatto che non potrà verificarsi in futuro con la stessa efficacia. “The foundations of sensory and perceptual systems that are critical to language, social behavior, and emotion are formed in the early years and are strongly influenced by experiences during this time. This is not to say that later development cannot affect these behaviors—on the contrary, experiences later in life are also very important to the function of the brain. However, experiences in the early years of childhood affect the development of brain architecture in a way that later experiences do not.” (Brain Development and the Role of Experience in the Early Years, Adrienne L. Tierney and Charles A. Nelson, 2009).

Per quanto riguarda, ad esempio, la musica, secondo J. P. Changeaux (I neuroni magici, Carocci 2018, P. Boulez, J-P. Changeaux, Ph. Manoury, p. 191), il bambino sarebbe geneticamente “dotato di disposizioni universalistiche” destinate a ridursi o mantenersi in relazione all’esperienza ricevuta dall’ambiente e che potrebbe invece conservare per tutta la vita grazie all’esposizione a musica varia e di qualità in età precoce.

A una stimolazione precoce, seguirà uno sviluppo precoce delle competenze che avrà effetti a lungo termine. Inoltre l’ambiente familiare potrà controbilanciare il peso del patrimonio genetico e, su larga scala, una politica sociale che tenga conto della possibilità di sviluppare queste competenze può contrastare l’insorgere di situazioni problematiche negli strati più poveri della popolazione. Gli investimenti nel capitale umano (secondo le ricerche di Gary S. Becker – Human Capital: A Theoretical and Empirical Analysis,with Special Reference to Education, cap. 3 ‘Investment in Human Capital: Rates of Return’, ISBN: 0-226-04109-3) sono tanto più efficaci quanto più sono precoci.

Suono, udito, musica e comportamento

Diversi studiosi hanno rimarcato come l’udito sia l’unico senso che colleghi il feto con la madre e con il mondo esterno. Le vibrazioni sonore accarezzano il feto dapprima attraverso recettori sensoriali situati nella membrana basale dell’epidermide, che attraverso le vie nervose trasmettono l’informazione fino al midollo spinale e ai centri del cervello (dalla 6a settimana); le percezioni del feto non sono paragonabili a quelle di un adulto e mutano con il progressivo perfezionarsi del sistema. A partire dall’8a settimana comincia l’innervazione dell’orecchio interno e la sua maturazione continuerà fino al 6° mese di gravidanza, periodo in cui il feto reagisce a stimoli uditivi. Attorno all’8° mese si completa lo sviluppo della coclea, nell’orecchio interno, ma l’udito del feto è quasi perfetto a partire dal 7° mese (J.P. Relier, L’aimer avant qu’il naisse, 1993). Da questo momento il feto può udire e mettere in atto dei “processi cognitivi” sia di riconoscimento che di memorizzazione, come diversi studi dimostrano (“Human fetuses are able to memorize auditory stimuli from the external world by the last trimester of pregnancy, with a particular sensitivity to melody contour in both music and language” Newborns’ Cry Melody Is Shaped by Their Native Language, B. Mampe, A. D. Friederici, A. Christophe, K. Wermke, 2009) (Prenatal Music Exposure Induces Long-Term Neural Effects, E. Partanen, T. Kujala, M. Tervaniemi, M. Huotilainen 2013).

Il bambino che in ambiente intrauterino ascolta voci che si esprimono sia con il linguaggio, sia con il canto, e suoni, potrà ritrovarli dopo la nascita e costituiranno per lui un importante punto di riferimento e benessere. I neonati sono in grado di riconoscere la voce materna, orientare il capo verso di lei e calmarsi ascoltando un canto intonato dalla madre già in gravidanza. È bene dunque che i genitori abbiano consapevolezza di questo importante veicolo sonoro, rassicurante per il bambino.

Alcuni studi si stanno focalizzando sull’importanza del canto dei genitori per i bambini nati prematuri e in terapia intensiva, per mantenere un rassicurante contatto con l’ambiente noto. Nel caso di bambini che hanno un normale percorso di crescita, il canto e la musica serviranno a calmare e intrattenere, ma costituiranno inoltre un importante veicolo di comunicazione tra genitori e figli, con la creazione di intensi momenti affettivi che costituiranno una riserva di emozioni positive da portare con sé per tutta la vita.

La musica, amministrata con sempre maggior coscienza da genitori sempre più acculturati, sarà veicolo culturale intergenerazionale che si alimenterà e arricchirà nel tempo. Un’acculturazione musicale offerta nel momento in cui il cervello del bambino è disposto ad assorbire dall’ambiente ogni stimolo, gli permetterà di conoscere a fondo le strutture sintattiche musicali e di utilizzarle non solo a scopo emozionale – evocativo, ma anche creativo (con la voce e con gli strumenti musicali).

La predisposizione all’ascolto musicale e all’interazione con gli altri (in una pratica canora e musicale avviata durante e dopo la prima infanzia) si riverserà in un atteggiamento di ‘ascolto dell’altro’ e di comportamento rispettoso a livello sociale.

Musica, effetti psicofisici e cura

Studi di imaging cerebrale mostrano i cambiamenti di organizzazione cerebrale associati all’apprendimento della musica (Infel et al. 2009; Gärtner 2013) e si osservano differenze del livello di materia grigia tra musicisti e non musicisti.

Dal punto di vista fisiologico, nei musicisti si notano zone del cervello particolarmente sviluppate e la composizione musicale sembra essere una delle attività mentali più elaborate e sofisticate (P. Boulez, J-P. Changeaux, Ph. Manoury, op.cit.).

La materia è molto vasta e gli studi possono riservare ancora molte sorprese. Nel 2017 il noto cantante e compositore Sting si è sottoposto a una serie di esami (con EEG e uno scanner a risonanza magnetica: FMRI che individua cambi nell’afflusso di sangue in determinate aree) da parte di Daniel Levitin, professore di Neuroscienze e Musica alla McGill University di Montreal, con risultati sorprendenti soprattutto per quanto riguarda l’attivazione di particolari zone del cervello all’atto di ascoltare e comporre. Nel caso di Sting, all’atto di comporre si attivano zone della corteccia deputate alle funzioni visuali, nella parte posteriore. Normalmente queste zone si attivano quando il soggetto sta guardando un film o sta sognando una scena. Riportando le parole di Daniel Levitin: “I asked him about it and he said that when he composes music, he thinks of music as architecture as having different levels of structure and buttresses. He thinks of it in a very visual, spatial way.” (articolo Sting’s brain on music offers scientists clues to what fuels creativity, in: Quirks & Quarks · November 14, 2017).
Sarebbe interessante esaminare l’attivazione del cervello a seconda di diversi stili di composizione (dal contrappunto al pop alla musica etnica) e improvvisazione.

Nel volume Handbook of Music and Emotion: Theory, Research, Applications, di Patrik N. Juslin e John Sloboda (Oxford University Press – 2010), cap. XI “Psycho-Phisyological Measures”, Donald A. Hodges tratta della “induzione di emozioni” mediante la musica e degli effetti psicofisici provocati dalla musica sul corpo. Numerosi studi successivi approfondiscono l’argomento, mettendo in luce fenomeni che sono stati isolati e misurati (aumento del battito cardiaco, pressione sanguigna, respirazione, brividi, ossigenazione, etc.).

Per quanto riguarda il canto: alcuni studi individuano grazie ad esso una attivazione del sistema immunitario (Rider et al. 1991; Beck et al, 2000, 2006; Kuhn, 2002; Kreutz et al, 2004); altri lo associano al rilascio di ormoni come la serotonina e l’endorfina, sostanze con una potente azione analgesica ed eccitante che quindi accrescono il senso di euforia e diminuiscono la percezione del dolore (Thurman, 2000; Welch, 2005); altri studi rilevano con la pratica del canto una diminuzione del livello di cortisolo (Beck et al, 2006; Kreutz et al, 2004), ormone conosciuto come “ormone dello stress. Il canto inoltre implica una respirazione più profonda, che provoca l’aumento dell’ossigenazione sanguigna, migliora la funzionalità cardiaca (Grape et al 2003) e riduce le tensioni muscolari (Welch e Thurman, 1997; White, 2001); stimola infine il sacculus, un piccolo organo situato nell’orecchio che è collegato con le aree cerebrali responsabili del piacere e che risponde in modo particolare alle frequenze della voce cantata (Todd, 2000). Di fatto, sono numerosi gli studi che segnalano i benefici del canto durante le fasi del parto.

La ricerca sta infine indagando sugli effetti che la musica può avere in relazione ad alcune patologie anche gravi (Alzheimer, Parkinson, Autismo, riabilitazione motoria, riabilitazione delle funzioni cognitive, etc.), a problemi del linguaggio e del comportamento (dislessia, ADHD disturbi da deficit d’attenzione e iperattività), in contesti di cura, etc. (Musica e salute: l’azione del musicista nei contesti di cura, EDT, 2006, a cura di Chiara Salvadori, Sara Salvadori).

Per quanto riguarda la selezione naturale e la selezione di gruppo (Kropotkin 2002; 2009), la cooperazione sta alla base della selezione e un’attività socializzante come la musica può essere fondamentale a questo scopo. Molti gruppi sociali, infatti, rafforzano la loro solidarietà attraverso creazioni musicali. La musica (Changeaux, op. cit. p. 200) rafforza perciò contemporaneamente la vita individuale e la vita sociale “apportando all’individuo una qualità di vita personale che può essere condivisa con gli altri membri dello stesso gruppo sociale, ma anche, al di là del gruppo, da tutta l’umanità. Perché l’adulto non dovrebbe trovare nella musica una via di riconciliazione in un mondo attraversato da conflitti?”.

“Tutti viviamo in due mondi. C’è un mondo che esisteva già da prima che tu esistessi e che continuerà a esistere anche quando tu non esisterai più. È il mondo esterno, fatto di oggetti ed eventi ed entità fisiche e altre persone. Esiste però anche un mondo che esiste solamente perché tu esisti. È un mondo che ebbe inizio nello stesso istante in cui tu nascesti. È il mondo della tua coscienza. Del tuo proprio essere.

Il ruolo delle arti è quello di organizzare in modo cosciente la relazione tra questi due mondi interno ed esterno. Le arti sono una delle prime modalità con cui negoziamo la nostra comprensione. Di noi stessi e del mondo che ci circonda. È attraverso la musica e l’arte e la danza e il teatro e tutte quelle attività che solitamente sono emarginate nel quadro del sistema educativo, che noi esprimiamo la nostra propria individualità umana.

Le arti dovrebbero avere un ruolo centrale nell’educazione, a pari delle scienze, delle discipline umanistiche e dell’educazione fisica. Se il sistema educativo non include questa immensa dimensione della crescita e dello sviluppo umano, allora la conclusione è molto semplice: non sta facendo bene il suo lavoro.” (Changing Paradigms, RSA, Ken Robinson 2010 – in italiano:  Cambiare i paradigmi dell’educazione).

Anna Cattoretti
articolo scritto per Gordon Uruguay – 2018
(versione in spagnolo disponibile a richiesta)
https://www.facebook.com/GordonUruguay

le immagini sono tratte da Wikipedia

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